Storia

Il Borgo Vittoria, nel quale si trova la chiesa, trae il suo nome dalla vittoria delle armi piemontesi e austriache contro i francesi durante l’assedio di Torino del 1706 (guerra di successione spagnola). L’assedio aveva seriamente minacciato la città (fu in quelle circostanze che Pietro Micca sacrificò la propria vita per impedire ad un gruppo di granatieri francesi di penetrare in una galleria della Cittadella) tanto da indurre il duca Vittorio Amedeo II a promettere la costruzione di una chiesa alla Madonna sul colle di Superga in caso di liberazione (la Basilica di Superga è appunto l’adempimento di quel voto).

La facciata della chiesa.

I francesi dovettero abbandonare l’assedio e Torino fu liberata. Terreno di battaglia era stata soprattutto la zona di Lucento e dell’attuale Borgo Vittoria. L’espansione della città in questa direzione divenne imponente alla fine dell’Ottocento. Quando si trattò di costruirvi una chiesa, si pensò di intitolarla a Maria, “Salute”, cioè salvezza della patria. Ma si volle anche ricordarla come “salute degli infermi”, titolo sotto il quale era stata invocata durante il colera “asiatico” che nel 1835 aveva colpito Torino ed in particolare il vicino borgo del Balon (Porta Palazzo). Una nuova ondata di epidemia si era diffusa in Italia nel 1884, risparmiando però Torino e il nascente Borgo che avrebbe dovuto ospitare la nuova chiesa.

La congregazione dei Giuseppini era ben rappresentata nel comitato che si faceva promotore della costruzione. Vi facevano parte infatti il confratello laico Giovanni Massoglia, pittore, scultore e architetto, e don Reffo col pittore Enrico, suo fratello.

La costruzione del santuario andò avanti a fatica, tra difficoltà di ordine tecnico e soste imposte dalla mancanza di fondi. Il 15 giugno 1890 fu aperta una prima cappella provvisoria e 5 anni dopo, il 21 maggio 1895, si procedette alla posa della pietra fondamentale dell’imponente costruzione (il progetto era dell’ing. Angelo Reycend). Nel 1903 si poté aprire parzialmente al culto il nuovo edificio, ma il rettore della chiesa, monsignor Carlo Giaume morì (1929) senza veder completato il “suo” santuario. Aveva però fatto in tempo a cedere tutto il complesso, debiti inclusi, ai Giuseppini, che ne divennero proprietari nel 1927.

Con l’arrivo dei Giuseppini l’opera riprese vigore, nonostante le difficoltà frapposte dal fascismo alle associazioni cattoliche. Risorse anche l’oratorio, già aperto dal Giaume: fu intitolato a San Martino in ideale continuità con quello che dipendeva dal Collegio Artigianelli e che dal Borgo Dora era finito in via Aosta 4 ed alla fine era stato venduto per pagare i debiti lasciati da monsignor Giaume.

Ripresero anche i lavori per il completamento del santuario. Nel 1934 la cupola era terminata. Nel 1937 fu inaugurato l’altare della Madonna. Al 1959 risalgono invece il nuovo altar maggiore e la sistemazione della Cripta dei Caduti.

La chiesa-santuario di Nostra Signora della Salute è compresa in un isolato delimitato da piazza della Vittoria (a ricordo della battaglia del 1706), via Villar, piazza Chiesa della Salute e via Antonio Vibò (arcivescovo di Torino al tempo dell’assedio).

Un cortiletto quadrangolare, circondato da portici, crea il giusto distacco tra l’animata vita del quartiere e il tempio mariano. Entrati nel quadriportico, si è davanti alla facciata del santuario. Un grande arco sovrasta il pronao poggiante su due colonne e quasi “custodito” dalle due statue equestri rappresentanti il duca di Savoia Vittorio Amedeo II ed il principe Eugenio di Savoia, suo cugino, comandante delle truppe imperiali che aiutarono il duca a liberare Torino dall’assedio del 1706. Il vasto interno è sormontato da un’ampia e alta cupola. Immediatamente a sinistra, il primo ambiente custodisce una riproduzione fotografica della Sindone in grandezza naturale.

Proseguendo, si incontra il Trittico del Sacro Cuore, opera del pittore Enrico Reffo (1889). Al centro è rappresentato il Sacro Cuore di Gesù, a sinistra san Giuseppe, a destra l’Angelo Custode. Il trittico si trovava originariamente nel Santuario del Sacro Cuore, presso l’Oratorio del Sacro Cuore (poi Oratorio Murialdo) di Rivoli. L’altare invece proviene dalla casa di Vigone, in cui per lungo tempo ebbe sede il noviziato giuseppino.

Mentre si entra nel transetto sinistro, si nota, sulla destra, un quadro di San Martino, vescovo di Tours. Questo dipinto (Reffo, 1868) era la pala d’altare della chiesa dell’Oratorio San Martino.

In una nicchia del transetto sinistro è stata sistemata una statuina della Madonna. Risale ai tempi in cui si doveva ancora iniziare a costruire la chiesa. Fu collocata su un piccolo basamento, all’interno del terreno che avrebbe dovuto ospitare il futuro edificio sacro, e benedetta il 31 luglio 1887. Da allora i primi borghigiani cominciarono a venerarla con il titolo di Nostra Signora della Salute. In fondo al transetto sinistro un ampio arco (notare, in alto, i due angeli del Reffo), immette alla scalinata che conduce all’altare di Nostra Signora della Salute. L’altare è opera dell’architetto Chioccarello, della Scuola Reffo (1937). Il quadro di Nostra Signora della Salute (1890) è di Enrico Reffo. La cripta sottostante all’altare della Madonna custodisce le ossa dei caduti nella battaglia del 1706. Vi è sepolto anche mons. Giaume, fondatore del santuario.

L’altra parete del transetto custodisce uno dei pilastrini, recanti l’immagine della Consolata, che il duca Vittorio Amedeo II aveva fatto collocare lungo le linee francesi due anni dopo la vittoria. All’architetto Chioccarello si deve anche l’altare principale (1959).

Nel transetto destro una lapide ricorda che anche san Leonardo Murialdo è legato ai primi inizi di questa chiesa. Il 2 marzo 1889 celebrava una messa all’altare della Consolata per “implorare la materna assistenza della Vergine sulla nuova impresa” della costruzione del santuario, tanto caldeggiata da alcuni suoi figli spirituali (don Reffo, con il fratello Enrico, e Giovanni Massoglia. Sul muro opposto un’altra lapide conserva la memoria del fondatore del santuario, mons. Carlo Giaume (1843-1929).

In fondo al transetto si giunge alla tomba di san Leonardo. Le spoglie del Murialdo furono portate in questa chiesa il 6 giugno 1971, dopo essere rimaste per molti anni in quella di Santa Barbara. L’attuale sistemazione dell’urna fu benedetta e inaugurata il 24 ottobre 1992. Il progetto è dovuto all’architetto torinese Giuseppe Giordanino. La vetrata policroma che fa da sfondo all’urna è del pittore marchigiano Oscar Piattella ed è stata realizzata dalle vetrerie GIBO di Verona. Il rosso, in basso, accoglie le spoglie di san Leonardo salendo verso l’alto in piccoli frammenti, come un’espansione del suo amore e della sua risposta all’amore infinito e misericordioso di Dio. Attraverso una serie di vetri blu di varie tonalità, lo sguardo sale alla calotta emisferica ricca di infiniti colori, dal verde luminoso allo splendore del giallo, quasi simbolo del divino che attrae l’amore umano (il movimento ascendente delle “fiammelle” rosse) e nello stesso tempo scende verso l’uomo (i “frammenti” verdi e anche gialli che “piovono” verso il basso) per ricolmarlo della sua grazia.

Il basamento dell’urna è disegnato a cerchi concentrici in marmo bianco appena ombreggiato. Il piano di appoggio che quasi continua il pavimento, il sedile circostante… tutto induce ad accostarsi a san Leonardo… Davvero si gustano qui le belle parole che sul Murialdo ha pronunciato Paolo VI: “Non è un uomo lontano e difficile, non è un santo sequestrato dalla nostra conversazione; è un nostro fratello, è un nostro sacerdote, è un nostro compagno di viaggio. Il quale però, se davvero lo avviciniamo, non mancherà di provocare in noi quel senso di ammirazione dovuto alle anime grandi” (3 novembre 1963).

La ricostruzione del volto e delle mani del Murialdo è opera di Giovanni Gianese e Romolo Felici, entrambi romani. I due artisti si sono ispirati alle fotografie scattate a san Leonardo Murialdo sul letto che accoglieva la sua salma, poche ore dopo la morte. Il volto si apre ad un dolce sorriso che emana pace e serenità. Una mano stringe il crocifisso, l’altra accenna ad una benedizione, segno di saluto ai suoi figli, ai ragazzi poveri ed abbandonati, a chi si ferma qui in preghiera.

Il dipinto che orna la parete sinistra del transetto è di Pietro Favaro (Scuola Reffo, 1963) e rappresenta il Murialdo ed il suo apostolato fra i giovani. Sullo stesso lato, un bianco gruppo scultoreo di san Giuseppe Benedetto Cottolengo è dovuto ad Anacleto Barbieri (Scuola Reffo).

Un altro dipinto, sulla destra, ugualmente di Favaro (1968) raffigura il Murialdo nella gloria.

Addossata al pilastro del transetto destro c’è la tomba (architetto Siffredi, Scuola Reffo) di don Eugenio Reffo (1843-1925), sacerdote giuseppino, primo collaboratore del Murialdo nella fondazione della congregazione, giornalista, scrittore, educatore e del quale è in corso la causa di beatificazione.

Più oltre, sulla sinistra, il quadro di san Giuseppe con Gesù adolescente e, sullo sfondo, il Santuario di Nostra Signora della Salute, è anch’esso dovuto al pennello di Favaro.

Avviandosi verso l’uscita si può osservare la facciata interna della chiesa, ornata dal Trittico degli Arcangeli, di Enrico Reffo (1914). Al centro è rappresentato l’Arcangelo Michele con la spada fiammeggiante e la scritta “Quis ut Deus” (chi come Dio?) frase latina che ricorda il significato del suo nome nella lingua ebraica. A destra (per chi guarda), è l’Arcangelo Raffaele in atto di guidare il giovane Tobia. A sinistra Gabriele, l’Arcangelo dell’Annunciazione.

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